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giovedì 27 febbraio 2014

The ConleyGate

Bulls, Brooklyn, Lakers, Suns. Quattro partite che vogliono dire una stagione, tutte vicine tra loro. La rampa di lancio ideale per assestarci in zona playoff? Lakers e Suns parrebbero abbordabili, e una tra Bulls e Nets potremmo pure vincerla. Potremmo. Ma il 14 dicembre 2013, all'ultimo allenamento prima di Chicago al FedEx, un urlo squarcia la palestra. A nightmare? No.  Mike Conley a terra. La mano sul ginocchio, una smorfia che dice tanto. Sarà lesione al tendine rotuleo, stop di 3 settimane, fino al 9 gennaio. Una tragedia. Fa malissimo, malissimo, ma malissimo eh? Perchè dietro di lui non c'è nessuno...cioè sì, ci sarebbe Darius Morris, quello che giocava ai Lakers l'anno scorso...ve lo ricordate? Dai, ma non ve lo ricordate il buon Darius? Ma come? Beh...non me lo ricordo nemmeno io. E invece l'oggetto misterioso con il suo contratto al minimo salariale viene gettato in cabina di regia per le 4 suddette. E non si comporta male, andando sempre in doppia cifra e concedendosi anche 25 punti e 10 assist contro i Lakers. Lottiamo, seppur privati del nostro pezzo migliore. Ma al FedEx Rose ci taglia le gambe (nel vero senso della parola, visti i crossover subiti da Allen e quel Morris lì) e i Bulls ci affondano 128-103. Con i Nets, invece, lottiamo fino in fondo, dato che Deron Williams decide di non giocare per tre quarti facendo patta con Morris, forse per spirito di solidarietà, ma quando Brooklyn decide che è l'ora di vincerla l'ex Jazz spara 9 punti in fila che ci mettono sul patibolo. Serve un miracolo, ed è quello che Darius regala allo Staples Center. Ci tiene in palla fino alla fine, ma Bryant decide di sparare la magia dal cilindro con il layup del +2 nel traffico che sancisce la vittoria lacustre. Visibilmente demotivati, manco a dirlo, cadiamo anche con Phoenix. Quarta sconfitta consecutiva. Al termine della quale arriva un messaggio che dice tutto: oh, il mese prossimo si gioca in casa con i Pacers. Mike c'è. Tu, se ne perdiamo un'altra, mi sa di no. Firmato: Sig.Pera. Un progetto che rischia di essere stroncato sul nascere. Tutto in una sera, quella di Pacers-Grizzlies. Big Balls now.

lunedì 24 febbraio 2014

Dicembre caldo


Dicembre è il mese piu' pieno della stagione: 10 partite su 29, non vuol dire che ci giochiamo tutto, ma ci giochiamo molto. E, come volevasi dimostrare quando avviene l'incrocio tra me e il già odiato nuovo commissioner Silver, anche in una stagione da 29 decidono di piazzarci due back to back: Sixers-Magic e Heat-Pistons.
Il primo back to back così gentile ed abbordabile pare, ed infatti ci facciamo subito freddare IN CASA dai modesti 76ers, che tanto modesti non sono dato che Turner, Hawes e Young sembrano dirsi: ehi, il prossimo anno dobbiamo prenderci almeno 10 milioni di ingaggio a testa, perchè contro i Grizzlies non diamo tutto e poi torniamo a tankare? Detto fatto, 93-84 e pubblico inferocito già a metà partita con cori tutt'altro che carini (FI-RE THE CO-ACH - FI-RE THE CO-ACH). Non è la prima volta che li sento, mi ci ero già abituato a Dallas dove a fine stagione mi avevano inneggiato...che non mi passino proprio per le orecchie lo vediamo il giorno dopo a Orlando: spiego ai ragazzi che se non vincono il mio culo salterà in aria e Prince si muove a compassione tirando fuori dal suo vecchio e polveroso cilindro 30 punti che ci regalano un'affermazione per 102-88.
Si torna a Memphis, ove arrivano i Knicks partiti sottotono. Ma si annusa profumo di vittoria quando la "Game-Time Decision" di Anthony diventa ufficialmente "Not Play" e carichissimi limitiamo New York a soli 13 punti nel primo quarto, volando a +14. W agevole insomma...ma mangu gazz! Bargnani decide che è l'ora di giocare a basket, Shumpert ha voglia di andare a piu' di 20 punti in una partita dopo 6/7 ere geologiche (si narra che l'ultima volta giocava ancora con i canestri abbassati!) e la squadra della Big Apple si porta addirittura in vantaggio all'intervallo. Troppo, troppo per un allenatore come me. Oh ragazzi essere sotto con i Knicks senza Anthony è roba da Xanax immediato eh! Fortunatamente un po' di orgoglio lo abbiamo e piazzando 40 punti nel terzo andiamo a imporci 111-91, e ci mancherebbe altro! Gasati dall'importante (?) vittoria andiamo pure a battere gli Hawks a casa loro, 117-114 con Prince e Conley (25+30, oh ma Tayshaun è un cecchino eh! E chi l'avrebbe mai detto!) sugli scudi: anche se vincere solo di 3 con una squadra che propone Cartier Martin e DeMarre Carroll in quintetto non è proprio qualcosa di cui vantarsi....gli siamo vicini però: loro, noi, i Bucks e i Bobcats siamo i fratelli dei seggiolini vuoti! Massimo rispetto per gli Small Market!
Arriva il momento del secondo back to back: a Miami e in casa con Detroit. Veniamo da 3W in fila, ma gli HEAT sono troppo, troppo, troppo per noi. Non giochiamo male eh, anzi, gli teniamo testa per due quarti abbondanti, ma poi si sveglia il re: LBJ diventa semplicemente immarcabile e ogni tentativo di fermarlo si traduce inevitabilmente nel suo canestro e un fallo a carico di Tony Allen. Non c'è trippa per gatti! Ma la cosa piu' importante è non cedere il giorno dopo con Detroit: nella notte si fa vivo qualche incubo, come i 44 rimbalzi in 2 di Monroe e Drummond su Nowitzki e Dalembert della stagione precedente a Dallas, ma l'importante è ostentare sicurezza, quella che mostro il giorno dopo col mio spavaldo arrivo sul pino al FedEx forum. I ragazzi mi chiedono come faccia ad essere così tranquillo dato che ho sempre perso con Detroit, rispondo che è merito dell'immensa fiducia che ripongo in loro. Ci credono, mi vogliono ripagare e vincono 124-110 tagliando fuori dal match i Pistoni già dopo i primi minuti. Ma non sanno che "Fiducia" è il nome d'arte delle gocce tranquillanti che fedeli campeggiano nel taschino della mia giacca...
E mi servono, mi servono perchè nonostante il buon ruolino (7-5) siamo sempre intorno all'ottavo posto a ovest: il solito limbo che mi ha accompagnato con i Mavs, quella terra di mezzo della classifica in cui si lotta per gli ultimi posti al sole scannandoci come tigri. Dove se sbagli una volta sei sempre in corsa, ma se sbagli due volte...beh...perdi l'ultima corsa del treno buono!

venerdì 21 febbraio 2014

Working

Non sono adatto a questo compito. Le parole  dei coach di Boston, Bisy, e Los Angeles, Barbatrucco, alle emittenti nazionali erano sparate o avevano un fondo di verità? E' questo il pensiero che ronza piu' fastidioso di una mosca dopo le due bruttissime sconfitte che subiamo in quel di Oakland e Minnesota. In entrambe segniamo 87 punti, in entrambe ne subiamo piu' di 100. Sono molto scoraggiato, pur essendo solo ad inizio stagione: tre sconfitte consecutive che rischiano di compromettere già la zona playoff. E una striscia che rischia di allungarsi a 4, quando i Kings vengono a farci visita al FedEx Forum. L'umorale pubblico di Memphis ha risentito del momento no e l'arena è mezza vuota: l'obiettivo è tornare a riempirla.
Si comincia subito male, con i Kings che fanno quello che vogliono e Rudy Gay che ci gela da ogni posizione. Noi proviamo in ogni modo a reggere, sfruttando il grande lavoro sotto le plance di Z-Bo e Gasol, ma a tirare avanti la carretta è soprattutto Mike Conley, uno di quei giocatori che tutti vorrebbero avere: reattivo, ordinato, ottimo tiro e grandi doti di passatore. Esagero a dire che è tra i 5 migliori play della lega? Non lo so. Ma è lui a far esplodere il pubblico con la tripla che vale il supplementare quando ormai sembravamo aver perso pure questa. Entriamo nel limbo dei 5 minuti in piu', dove non si può piu' sbagliare, dove il primo break che subisci lo paghi. Quello che subisci, attenzione. Perchè noi il parziale di 8-0 lo facciamo subito, ma Sacramento non si intimorisce per nulla e risponde con l'11-0 che li porta a 14 secondi dalla fine sul +3. Troppo forte sarebbe la delusione per la quarta sconfitta consecutiva, e allora nel timeout l'#11 ex Ohio State è chiaro: esco dai blocchi e la pareggio. E così è stato. Nel secondo overtime chiudiamo definitivamente la questione con due canestri di Miller e, manco a dirsi, Conley, scrollandoci di dosso le paure che già ci attanagliavano. Mike segna 43 punti, a 2 dal franchise record di Mike Miller, che guarda caso è con noi anche quest'anno...sarà un caso? Il record dice 3 vittorie e 3 sconfitte. Siamo lì nel limbo, quel maledetto limbo che anche a Dallas mi ha sempre accompagnato in regular season. Quello tra ottavo e nono posto. Quello che a volte ti separa dall'inferno (lotteria) o dall'inferno in ritardo (sweep al primo turno). Ma io non sono il tipo. Se arriviamo ai playoff, ci arriviamo per vendere cara la pelle.
Al termine della gara con i Kings un giornalista mi si avvicina chiedendo un parere sulle recenti dichiarazioni di Bisy. Bisy chi? Non lo conosco. Conosco busy, che vuol dire impegnato, bus, bis...ma "Bisy" no, non mi dice niente...mi spiace

martedì 18 febbraio 2014

Sottotraccia

I giornali non ne parlano, un alone di mistero circonda ancora la figura di coach Gensi, ma la stagione è iniziata. E non al meglio. Perchè nonostante due vittorie e una sconfitta, ci sono segnali non proprio rassicuranti. Nella partita di esordio battiamo 97-87 gli Wizards al FedEx Forum, con una grande prestazione del trio Conley-Prince-Randolph che hanno la meglio sui confusionari maghetti della capitale. Nel secondo match facciamo addirittura meglio limitando i Mavs a 73 punti a casa loro, segnandone ben 93. La squadra difende, l'attacco gira, tutto bene....no. Per nulla. Perchè gara 3 è alla Chesapeake Arena contro i Thunder ed emergono tutti i nostri limiti. Perdiamo di 30, senza essere mai in partita, con una grave carenza a livello offensivo. Emerge quello che temevo: pur avendo il cuore ormai votato ai Grizzlies, Tony Allen non è un giocatore adatto per il mio sistema. Grandissimo difensore, ma jumper inesistente, cosa che limita molto il lavoro dei lunghi che anche se vengono raddoppiati non possono scaricare su di lui per tirare da 3 o dalla lunga. Dietro di lui scalpita Courtney Lee, altro ottimo difensore con l'aggiunta di essere un discreto shooter che non se la sente proprio di partire dalla panca. Tony è il cuore dei Grizzlies, ma se Zach vuole vincere prima dell'inevitabile declino fisico, qualche asset dovrà cambiare. Facendolo partire potremmo ottenere qualche giocatore utile da una panca che produce pochissimi punti. L'idea è Norris Cole degli Heat, scontento dopo le firme di Douglas e Mason, ma Pera assicura che se dovrà avallare qualche scambio lo farà solo alla deadline, a situazione classifica ormai abbastanza chiara. Non è tutto. Il chiaroscuro avvolge anche un altro giocatore da me odiato e amato, capace di svoltarti una partita ma anche di dare l'impressione di giocare in 4: Marc Gasol. Koufos, in panchina, scalpita, e ammetto che è balenata per la testa anche l'idea di far partire lo spagnolo promuovendo il greco. Chi vivrà, vedrà. L'obiettivo restano i playoff. Con quel sogno, in fondo, che tutti conosciamo...

giovedì 13 febbraio 2014

The Last Dance

Boston, ore 8:00 del mattino. Il coach si alza, legge il giornale. Si parla dei Mavs, dell'addio del sottoscritto alla panchina a pochi giorni dall'inizio della stagione..."non se l'è sentita", "non ha retto la pressione", "l'ultima panchina della sua carriera" i commenti dei giornalisti....non certo eleganti.

Forse è vero, mi sono giocato l'opportunità della vita, devo cercarmi un altro lavoro....ecco, un'altra telefonata. Un altro giornalista sciacallo che vuole sapere di piu' sul mio addio. Rispondo.

Coach: Buongiorno, forse.
?: Buongiorno a lei. Parlo con colui che si è dimesso dai Mavs, giusto?
Coach: Sì, ma non gli darò informazioni in piu'. Chi di dovere sa perchè ho mollato.
?: E infatti non mi interessa. Ma mi dica, crede che Dallas sia stata l'ultima panchina della sua carriera?
Coach: Lo temo. A tratti non mi sono sentito adatto ad un NBA così fisica. Si corre, si corre, si corre, nessuno difende. Vince chi segna di piu'.
?: E non pensa di poter cambiare tutto ciò? Voglio dire, lei non ha mai allenato un team che basa il suo spirito di gioco sulla difesa.
Coach: Forse perchè ormai la difesa è passata di moda. I sistemi di gioco non funzionano e vince il titolo chi ha i migliori scorer. San Antonio - Miami insegna.
?: E a lei non piacerebbe provare a invertire la tendenza in un team che ha forse l'ultima chanche di giocarsi l'anello prima della naturale fine del ciclo? Un team che esce da una fantastica stagione, solido e ormai ben collaudato, che per definizione ai playoffs "non è voluto da nessuno" ma che ha sempre incontrato un ostacolo sul piu' bello e vuole invertire la tendenza?
Coach: Sì, mi piacerebbe. Mi sentirei l'uomo giusto. Far girare la palla, prendersi solo tiri facili, giocare a ritmi lenti e difendere forte. Potrebbe essere la mia dimensione. Ma mi servono i giocatori giusti.
?: La miglior coppia di lunghi della lega, un play a livelli all-star e la miglior guardia in difesa sugli esterni possono bastare?
Coach: Ecco, diciamo che uniti all'aiuto del FedEx forum stile playoffs ce la potremmo fare...non c'è bisogno che si qualifichi signor Pera, arrivo in giornata a Memphis e firmiamo il contratto!





Memphis Grizzlies - Stagione da 29 - Livello Hall of Fame. SI parte!

martedì 11 febbraio 2014

Una promessa è una promessa.

La comparsata in aereoporto dei ragazzi mi aveva entusiasmato. Tutto sembrava essere tornato a sorridere, la felicità era tanta, lo spogliatoio coeso. Melo si è subito integrato con i compagni intriso da un elemento in comune con loro: la voglia finalmente di vincere. E per farlo avevano scelto me. Prima della Pre-Season ho deciso di rilassarmi sulle spiagge della Polinesia: sole, alcool e tanta gnocca. Un modo per schiarire le idee in vista di una stagione che ci vede tra i favoriti assoluti.
Al ritorno delle vacanze, le aspettative sono tante, e il lavoro comincia a dare i suoi frutti. Ma la Polinesia non mi è servita solo a ricaricare le batterie. Mi è servita anche a riflettere. Quando un uomo promette qualcosa, se non lo rispetta perde inevitabilmente la sua credibilità. E' giusto così, perchè le parole, a volte, contano piu' dei gesti. Un uomo è un vincente quando mantiene ciò che promette, non quando lo rinnega per andare incontro a una facile fama.
Terzo giorno di allenamenti: i ragazzi arrivano in palestra, io sembrerei essere in ritardo. Un quarto d'ora, mezz'ora....gli assistenti riferiscono a Cuban che mi chiama, ma il telefono è spento. Marc si avvia prima nel mio ufficio, trovandolo vuoto, poi verso la mia abitazione fuori Dallas trovandola sprangata. Non sembrano esserci nemmeno i fedeli cani che mi hanno sempre accompagnato. Marc è un uomo intelligente, e capisce. Il coach ha rispettato la promessa.

lunedì 3 febbraio 2014

The Decision


Basta raccogliere ricordi, è l'ora di partire. Il volo per Boston è alle 12:30, prendo un taxi fino all'aereoporto, avendo già restituito la Range Rover in dotazione. Mentre chiacchero col tassista, tifoso Mavs che mi rincuora dicendomi di aver fatto comunque un buon lavoro nonostante i risultati attesi non siano arrivati. , arriva un SMS. Sblocco il Blackberry, c'è scritto "Please Wait". Firmato: Dirk Nowitzki.
E ora? No, non rispondo. Scendo all'aereoporto, vado al check in, la receptioner mi riconosce e mi augura buona fortuna. Ormai sono pronto a superare l'imbarco ed entrare nel tunnel che mi porterà all'aereo quando sento una voce familiare urlare "Coach". Mi volto. Sono Dirk, Monta, Eric, Lance e Marc. Piu' indietro scorgo anche gli altri. Mi sono venuti a salutare? Torno indietro.

Io: Ragazzi gr...
Dirk: Non vogliamo che tu te ne vada. Siamo venuti qui per dirtelo. Vogliamo vincere il titolo con te. Io e Samuel abbiamo rinnovato di nuovo il contratto a cifre inferiori, anche Marc ha deciso di rimanere. Manchi solo tu.
Io: Io ragazzi non so come ringraziarvi. Ma purtroppo ho fallito, e l'accordo col presidente era chiaro: o arrivavo alle WCF o me ne andavo. Avevamo le potenzialità per farlo, non vi rimprovero niente, e questo lo sapete, ma sono io che non ho saputo mettere la squadra in campo.
Dirk: No. Si vince e si perde insieme. E questo è l'anno buono per vincere. Cuban l'abbiamo convinto noi, resterai, perchè vogliamo te. Uno dei migliori coach che chiunque di noi ha avuto dal punto di vista umano. Ci hai insegnato veramente tanto. E c'è di piu.
Io: ...Cosa?
Dirk: Questo sarà l'anno del titolo. Perchè sarà forse l'ultimo anno per me. E il gruppo ha fame. Abbiamo sentito una persona che sarà free agent, è alla ricerca del primo titolo NBA dopo anni e anni di delusioni, ma è il nostro uomo, potrebbe aiutare tutti a giocare meglio e portarci allo step decisivo. Vuole venire. Cuban è d'accordo.
Io: Di chi state parlando ragazzi? Io vi posso dire che se volete rimango, a prescindere da chi sia questa persona. Avete ragione, si vince e si perde insieme. E io voglio vincere!
Dirk: Grazie ragazzo. Era la risposta che volevamo. E apprezziamo tantissimo che tu abbia deciso di restare ancor prima che ti dicessimo chi è colui che potrebbe aiutarci a raggiungere l'anello. Coach, nel volo in arrivo da New York c'è Carmelo Anthony.

sabato 1 febbraio 2014

I'm coming home

Metto nel borsello la mia fida penna, le foto del mio cane e di quando ero giovane. Ripongo nella custodia il pc, stacco il cartellino dall'ufficio. Lo chiudo, per l'ultima volta. E' finita, no way. Si fa le valigie. E nel modo peggiore, perchè andiamo a dominare gara 6 a Minnesota vincendo 121-84, ma poi cadiamo malamente in una gara 7 in cui rimaniamo in vantaggio per praticamente tre quarti prima che i Wolves mettano il muso avanti nel finale del terzo quarto. +3, nulla di preoccupoante. Ma è l'11-1 con cui i Wolves iniziano l'ultimo periodo che ci uccide. Finisce 135-125, lottiamo fino all'ultimo, con la bomba di Ellis per il -4 a 32 secondi dalla fine che va in and out. Come tanti, tantissimi tiri in questa partita, scagliati perfettamenti e sputati beffardamente dopo aver baciato e ribaciato il ferro. Non c'è nessun motivo per giustificare una sconfitta in cui entrambe le squadra hanno dato cuore e testa. Non riesco a trovare nulla da recriminare ai ragazzi. E' solo colpa mia, che non ho saputo dare un'identità alla squadra. E ora merito solo di ripartire dal fondo, perchè il progetto è fallito. E il progetto l'avevo diretto io. I Thunder battono 4-2 i Wolves nella finale dell'ovest dopo aver sorpassato solo in gara 7 i Blazers, ma vanno a perdere con un clamoroso 4-0 le finali NBA dai CHICAGO BULLS mattatori a est degli Heat (4-1). Rose realizza finalmente il suo sogno dopo tutti gli infortuni subiti. Per me, invece, è l'incubo.

Si ritirano tanti grandi: Brand, Captain Jack, Jamison, Prince, Bell, Prigioni, K-Mart, Andre Miller, Vinsanity e He Got Game, con gli ultimi 2 che entrano nella hall of fame. E forse è arrivato il momento anche per me.